Compagni, adesso che si fa? Dibattito a sinistra. “Riprendere il cammino dell’unità dei comunisti”.

Unità e iniziativa dei comunisti nella crisi attuale. Un fronte unito per un programma di transizione.                                                                                             di Andrea CatoneBandiera rossa

1. Una crisi epocale

La crisi attuale è profondissima. È crisi dei meccanismi di accumulazione e riproduzione capitalistica, coinvolge gli stati in prima persona (il debito pubblico), investe l’intera economia occidentale (la triade USA, Giappone, Ue). Per i limiti di fondo della costruzione europea e dell’eurozona, colpisce più profondamente l’Europa, dove si scatena la contraddizione tra Stati: il blocco tedesco (Germania, Finlandia, Olanda) impone i suoi diktat ai paesi del sud, meno “virtuosi”, con politiche di austerità che hanno immiserito e spogliato Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia, Cipro (dove si è attuata una espropriazione diretta con l’imposta del 40% sui depositi bancari superiori ai 100.000 euro). Se, nel riconoscimento unanime del carattere epocale della crisi si manifestano, come è giusto che sia, alcune differenze di analisi anche all’interno dei teorici marxisti, una cosa mi sembra certa: dopo la crisi, come dopo una guerra di grandi dimensioni, il mondo non sarà lo stesso: gli esiti che questa crisi produrrà saranno – nell’economia come nella società, nella mentalità di massa come nelle istituzioni politiche – o di carattere regressivo o di carattere progressivo.

Lo sbocco che alla crisi si potrà dare dipende dal modo in cui i soggetti politici organizzati, in qualsiasi forma, agiranno. Questa crisi segna uno spartiacque nella storia e il modo in cui i soggetti politici si muovono di fronte ad essa è una cartina di tornasole della loro adeguatezza storica. La crisi può e potrà produrre rapidi sconvolgimenti non solo in campo economico e sociale, ma nelle organizzazioni politiche e nelle istituzioni degli Stati.

2. La crisi italiana: debolezza economica e crisi del sistema politico

L’Italia sta pagando un prezzo pesantissimo: alle sue debolezze strutturali (determinate e accentuate dalle politiche di smantellamento dell’economia pubblica e della grande impresa pubblica attuate nell’ultimo ventennio) si è aggiunta la devastante politica di tagli e austerità del governo Monti, che ha prodotto una pesantissima recessione, con fallimenti a catena di decine di migliaia di imprese e un aumento vertiginoso della disoccupazione. L’Italia è un paese chiave della Ue, non solo per essere stata uno dei soci fondatori della Comunità europea, ma anche per essere la terza economia dell’eurozona. A differenza di quasi tutti gli altri paesi europei – compresi quelli ex socialisti di nuova acquisizione – l’Italia unisce oggi alla gravissima crisi economica una non meno grave crisi politico-istituzionale.

2.1. Il programma piduista rimasto a metà del guado

Il sistema politico italiano, devastato dalla prima grande offensiva avviata nei primi anni ’90 contro uno dei pilastri della Costituzione, il sistema elettorale proporzionale (che implicava un ruolo essenziale dei partiti quali “nomenclatura delle classi” e il loro confronto dialettico in parlamento, di cui la Costituzione fondava la centralità), non si è mai interamente stabilizzato. Il programma piduista, fondato sul maggioritario bipolare e sul presidenzialismo (obiettivi enunciati nel 2006 nei discorsi di insediamento di Franco Marini alla presidenza del Senato e di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica), non si è ancora realizzato completamente: l’Italia è rimasta a metà del guado. Che tale programma non si sia pienamente realizzato, consegnando il paese ad una piena e indiscussa “governabilità”, non è però dovuto, se non in piccola parte, all’opposizione di forze democratiche, socialiste e comuniste, scarsamente influenti nell’ultimo ventennio italiano rispetto ai processi politici ed economici, ma alle contraddizioni interne al blocco di forze capitaliste e neoliberiste, che, per ragioni di concorrenza interna e di convenienza a breve termine, non hanno trovato l’accordo sostanziale per il passaggio ad una piena repubblica presidenziale e al bipolarismo maggioritario. Così sono fallite le commissioni bicamerali, è stata bloccata la revisione costituzionale berlusconiana nel 2006, si sono succedute diverse leggi elettorali, nessuna delle quali garantiva pienamente la “governabilità” del sistema. A ciò va aggiunto l’avvelenamento del discorso pubblico, imperniatosi – invece che su opzioni e programmi politici, economici, sociali – sulla centralità della figura di Silvio Berlusconi, l’opposizione al quale si concentrava non su proposte politico-programmatiche, ma sull’impresentabilità del kavaliere, sulla sua corruzione morale. Una colossale operazione di occultamento delle reali opzioni politiche è servita a giustificare l’inesistenza programmatica (o meglio la sua subalternità al neoliberismo) dei Ds-Pds-Pd.

2.2. La “casta” e il M5S

Tale rimbambimento ideologico si è intrecciato con la crescente corruzione, a tutti i livelli – dal nazionale alle circoscrizioni comunali – di una parte del personale politico, che, in mancanza di meccanismi accertati di controllo e autocontrollo e di una forte etica pubblica e incoraggiato dal modello berlusconiano, ma anche dal pragmatismo senza principi di parte del PD, ha dilapidato il patrimonio pubblico: oltre alla “ordinaria” corruzione e concussione di amministratori locali per la concessione di autorizzazioni, licenze o finanziamenti pubblici, si è manifestata anche l’appropriazione a fini privati di ciò che era istituzionalmente destinato al funzionamento della macchina politico-amministrativa, con un ipertrofico e ingiustificabile aumento della spesa pubblica. Ciò ha fornito ampio materiale per alimentare il risentimento contro i partiti – la casta! – su cui lavorano da tempo quanti prospettano lo smantellamento della repubblica costituzionale parlamentare, che presuppone i partiti quali organizzatori della sintesi politica nella battaglia parlamentare. L’attacco alla “partitocrazia” contro cui tuonava Marco Pannella (che ottenne l’abrogazione del finanziamento pubblico ad essi col referendum del 1993), è divenuto così il collante, il minimo comun denominatore, del M5S, che nasce inizialmente su temi ambientalisti, contro l’industrialismo a tutti i costi, la TAV (le cinque stelle del nome rappresentano le tematiche relative ad acqua pubblica, mobilità sostenibile, sviluppo, connettività e ambiente). La grande crisi economica e le politiche di austerità di Monti, che hanno imposto pesanti sacrifici ai lavoratori e alle masse popolari, rendendo non più tollerabili i privilegi e gli sprechi della “casta politica” privilegiata e parassitaria, incapace di far fronte alla crisi, hanno favorito l’exploit elettorale del M5S. Il quale, però, facendo della distruzione del sistema dei partiti in quanto tale la ragione prima e il collante del movimento, contrapponendosi ai partiti quale casta separata e parassitaria, zombie viventi assolutamente inetti e lontani dal paese reale, si priva di una strategia costruttiva. Rifiutando per principio qualsiasi possibilità di accordo con altre formazioni politiche sulla base di un programma condiviso (per non contaminarsi…), il M5S può vivere e alimentarsi solo dell’opposizione e contrapposizione assoluta. Si propone come contestazione e non come costruzione, ghettizzando così un quarto dei consensi elettorali. Tale posizione è stata peraltro consolidata e alimentata dall’assoluta incapacità politica del Pd, dilaniato da opposte opzioni politiche, oltre che da potentati che ricordano l’anarchia feudale: appare assolutamente schizofrenica la scelta, nel giro di 24 ore, prima della candidatura Marini, in accordo con Berlusconi, poi di Prodi, antitetica a lui, per non parlare del rifiuto pregiudiziale di prendere in considerazione la candidatura di Rodotà.

3. I comunisti in Italia

I comunisti hanno accumulato negli ultimi 5 anni errori strategici e tattici, continuando nella perversa tradizione dell’ultimo ventennio di combinare disastrosamente codismo e avventurismo di sinistra, elettoralismo e movimentismo, tatticismo pseudorealistico e volontarismo astratto, opportunismo ed estremismo parolaio, con uno scarso o nullo lavoro di massa e di radicamento sociale, inseguendo una manifestazione sindacale o un tavolino di raccolta firme, senza una visione strategica complessiva, senza costruire un’alternativa sociale e politica alla crisi in corso. La débacle della lista “Rivoluzione civile – Ingroia” è il risultato conseguente degli errori commessi non negli ultimi mesi, ma almeno negli ultimi 5 anni, quando, dopo il disastro elettorale dell’Arcobaleno nel 2008 e le scissioni intervenute nel Prc e nel Pdci, si pose la questione di mantenere l’opzione comunista, di lavorare per l’unità dei comunisti, di ricostruire un partito comunista all’altezza delle sfide del XXI secolo. Le dimissioni dei gruppi dirigenti del PRC e del Pdci sono perciò un atto doveroso.

3.1. Riprendere il cammino dell’unità dei comunisti

“Rivoluzione civile”, costituitasi dopo una serie di rocambolesche giravolte che avevano inferto un colpo mortale alla FdS – faticosamente costruita tra mille difficoltà, e comunque utile organismo di confronto politico e di unità d’azione – aveva almeno il vantaggio di tenere insieme in una coalizione elettorale le due principali micro-forze politiche richiamantisi al comunismo. La débacle della lista elettorale sembra allontanare definitivamente le strade dei due partiti e favorire e rafforzare la diaspora comunista, col costituirsi di nuovi “veri” micro-partiti comunisti, dediti a sottrarsi reciprocamente i pochi militanti rimasti, ciascuno chiuso nel proprio orticello, polemico al massimo con gli altri micro-partiti concorrenti e in agguato per denunciarne il revisionismo e il tradimento dei principi, coltivando odio e disprezzo per la setta concorrente.

Occorre assolutamente contrastare queste tendenze e invertire decisamente la rotta, rilanciando il processo di unità dei comunisti e, insieme con essi, delle forze della sinistra antiliberista. L’unità non può costruirsi “a freddo”, ma nella dialettica di una lotta comune intorno a un grande obiettivo condiviso, che oggi ritengo non possa che essere la costruzione di un fronte unito su un programma di fase storica, un programma di transizione per uno sbocco democratico-progressivo alla grande crisi capitalistica attuale. Occorre assolutamente aprire un dialogo e trovare forme di interlocuzione, consultazione, unità d’azione, in primis tra quanti si richiamano alla grande esperienza del movimento comunista mondiale e italiano e non intendono buttarla alle ortiche. Occorre trovare luoghi, “case comuni” di elaborazione critica, discussione, proposta, azione politica tra i comunisti. La Federazione della Sinistra ha avuto indubbiamente limiti notevoli sin dalla sua costituzione, ma liquidarla – senza neppure un atto formale, il che è ancora peggio – senza sostituirla con una forma organizzativa e politica più adeguata alla fase attuale è un grave errore. Occorre dare maggior vigore e consistenza a livello nazionale ad associazioni come “Marx XXI”, sorte con il dichiarato obiettivo di fornire elaborazione critica e momenti di dialogo tra i comunisti e i marxisti, dando seguito e continuità ad esperienze di lavoro comune e scambio di articoli tra riviste (come fu nel caso della collaborazione tra Marx21  ed “Essere comunisti” con l’inserto comune sul viaggio nella Repubblica Popolare Cinese di una delegazione congiunta del Prc e del Pdci nel marzo dello scorso anno). La formula potrebbe essere: rifiuto dell’arroccamento settario, massima apertura al dialogo tra comunisti, guidati dalla bussola di un fondamentale retroterra marxista e comunista comune, nella consapevolezza che non vi potrà essere unanimismo assoluto su tutte le questioni, ma che si possono stabilire forti elementi di convergenza e unità.

3.2. Rafforzare l’opzione comunista

In quel che rimane delle forze comuniste costituenti la Fds e che hanno avuto fino al 2008 una rappresentanza parlamentare, si delineano le seguenti tendenze:

- Rinunciare alla rifondazione del comunismo, a una prospettiva marxista, e porsi all’interno di una formazione antisistema, facendo fronte unito col M5S.

- Rinunciare alla propria autonomia comunista e accorparsi con l’ala socialdemocratica del Pd e di Sel.

- Rimanere sommersi e immobili, in attesa degli eventi, in una deleteria posizione di attesismo e nullismo politico.

- Provare a rilanciare la ricostruzione comunista e la prospettiva comunista.

Alla fine, le possibili alternative per i comunisti si riducono a due:

- o la rinuncia al progetto comunista, la rimozione delle proprie radici ideologiche e culturali, del marxismo, dell’internazionalismo comunista, di una storia più che secolare, sciogliendosi o lasciandosi fagocitare o da un movimento antisistema, anticapitalista radicale, o da un neo partito socialdemocratico di sinistra, magari in nome di una tradizione italiana che si pretenderebbe tutta interna all’area di centro-sinistra;

- o la riproposizione della costruzione comunista.

Ma se si rifiuta lo scioglimento, a sinistra o a destra (è chiaro che le due opzioni non sono affatto la stessa cosa, anche nella prospettiva delle alleanze politiche, di fronti antiliberisti), la ricostruzione comunista non può ridursi allo sterile arroccamento identitario, alla proclamazione di principi, ma deve sapersi tradurre in azione politica quotidiana tra le masse, sulla base di un serio programma di fase, un programma di transizione adeguato al livello delle contraddizioni odierne, in grado di indicare uno sbocco a sinistra alla crisi epocale in atto. Per i comunisti, si tratta dunque di non annullarsi o sciogliersi nei movimenti o nelle coalizioni antiliberiste o democratiche, nascondendo o rimuovendo la propria identità, i propri simboli, le proprie bandiere (come è accaduto con la lista “Rivoluzione civile-Ingroia”). Si tratta invece di essere parte attiva di un fronte che si ponga con chiarezza l’obiettivo di realizzare un programma di transizione nella crisi attuale.

4. Un fronte per un programma di transizione democratico-progressiva

Quando parlo di programma, non intendo solo il disegno di alcune linee generali – che devono comunque costituire il quadro entro cui ci muoviamo – ma anche l’articolazione di esso per l’organizzazione di lotte e resistenze quotidiane, per un lavoro di massa che sia veramente tale. Certo, in primo luogo è fondamentale definire il quadro di un possibile fronte antiliberista e democratico-progressivo entro cui i comunisti possano operare.

4.1. Intervento pubblico e proprietà pubblica delle imprese strategiche

Sul piano della politica economica, l’obiettivo prioritario della ripresa economica e dello sviluppo qualificato dell’economia potrà realizzarsi solo attraverso una massiccia ripresa dell’intervento pubblico e della proprietà pubblica delle imprese di rilevanza strategica, delle banche commerciali (separate da quelle di investimento) e dei servizi essenziali (ciò che oggi viene designato da alcuni con qualche ambiguità come “beni comuni”). Senza l’intervento pubblico e un’economia programmatica è illusoria non solo una fuoriuscita progressiva dalla crisi, ma anche una pura e semplice ripresa economica. Occorre una programmazione-pianificazione degli investimenti strategici. Essi possono fare da volano al rilancio delle piccole e medie imprese private che costituiscono ormai il tessuto produttivo principale dell’Italia. Attraverso l’intervento pubblico va riorganizzato e riqualificato tutto il sistema delle PMI, investendo in ricerca e sviluppo, innovazioni tecnologiche; insomma, spostandole dal plusvalore assoluto, basato sul supersfruttamento della forza-lavoro, al plusvalore relativo (cfr. in proposito gli artt. di Pasquale Cicalese sul sito Marx21.it e sulla rivistaMarxVentuno). L’esperienza di cinque e passa anni di crisi ha ampiamente dimostrato che le singole lotte e resistenze, scioperi, manifestazioni, presìdi assemblee permanenti o anche occupazione di fabbriche e cantieri, non sono generalmente riusciti a fermare l’ondata di licenziamenti e chiusura di fabbriche, ma hanno ottenuto al più qualche accordo di prepensionamento, prolungamento della cassa integrazione o qualche altra forma di sussidi e tutela dei lavoratori in via di licenziamento (il che è certamente importante, perché i comunisti devono battersi per la difesa anche parziale della loro classe di riferimento, ma non sufficiente e non strategico). Di fronte all’ondata della crisi, che devasta il tessuto produttivo del paese, le resistenze dei lavoratori in ogni singola impresa, o anche gruppo industriale, sono inefficaci allo scopo di mantenere l’impresa attiva. Anche i rarissimi scioperi generali proclamati in questi anni di crisi, con obiettivi generici di protesta, si sono rivelati inefficaci: un’operazione retorica utile al più ad affermare l’esistenza in vita dei sindacati. La difesa e il rilancio dell’occupazione possono avvenire solo sulla base di una seria programmazione economica, che abbia i suoi punti di forza nell’intervento pubblico in settori strategici.

La lotta per le nazionalizzazioni e le pubblicizzazioni di servizi, imprese e banche deve essere accompagnata dalla costruzione di nuovi istituti intermedi di partecipazione popolare per l’inventario e il controllo sui beni pubblici, per passare poi a forme più avanzate di gestione democratica degli stessi. Il che significa battersi per la costruzione di comitati popolari, inizialmente spontanei e non istituzionalizzati (sul modello ad esempio di quelli che operano per la ripubblicizzazione dell’acqua, o il comitato per la difesa della salute all’Ilva di Taranto). La diffusione di comitati popolari per l’inventario e controllo dei beni pubblici e la nazionalizzazione di industrie strategiche e banche può rispondere alla domanda di trasparenza e controllo, oltre che di partecipazione attiva, che attraversa oggi la parte più attiva e sensibile della società italiana. La forma è ancora molto embrionale e spesso non regolamentata – il che può dar luogo a forzature arbitrarie (solo dove si danno regole scritte e ben definite può funzionare la partecipazione democratica e la piena assunzione di responsabilità di ogni soggetto; l’assemblearismo non è certo la soluzione). La forma che potranno assumere i comitati popolari di base di inventario e controllo dipenderà dallo sviluppo del movimento di lotta e dalla direzione che ad esso potranno imprimere i comunisti. Negli anni ‘70 furono sperimentate forme avanzate di partecipazione popolare sul territorio, come sviluppo dei consigli di fabbrica, quali i consigli di zona.

La domanda di partecipazione e trasparenza, espressasi in forme ambigue nell’ampio consenso al M5S, che l’ha tradotta semplicisticamente e seguendo l’onda del momento in attacco al sistema dei partiti, considerati tutti casta corrotta e parassitaria, da eliminare per dare il potere ai “cittadini” (come si fanno chiamare anche i parlamentare del M5S) va colta con la costruzione in positivo di una struttura di comitati di gestione e controllo sui “beni comuni” e sulle imprese e banche strategiche. Occorre in proposito che si mobilitino intellettuali tecnico-politici, che rendano chiari e accessibili ai non addetti ai lavori i bilanci delle imprese, le scelte produttive e gestionali. Il lavoro di informazione e denuncia è fondamentale, è un presupposto perché si sviluppi la proposta, in modo da realizzare embrioni di partecipazione democratica.

4.2. Riconquista di spazi di sovranità nazionale

Una politica di nazionalizzazione e programmazione democratica, supportata da un movimento che si proponga l’inventario e controllo come presupposti per la gestione dei beni pubblici, richiede una lotta a livello di UE e di eurozona per la riconquista di spazi di sovranità nazionale, che sono oggi stati occupati sostanzialmente dal blocco europeo a guida tedesca. Nella fase attuale questo obbiettivo può essere ampiamente unificante per la costruzione di un vasto blocco comprendente i paesi del Sud Europa sottoposti ai diktat tedeschi e sostenuto dalle masse popolari e da quei capitalisti industriali delle piccole e medie imprese che più stanno pagando il costo della crisi. Fondamentale in proposito è la costruzione di un fronte unito internazionalista per la revisione dei trattati e il rovesciamento delle politiche di austerità.

Diverse forze comuniste e antiliberiste in Europa e in Italia ritengono ormai arretrato l’obiettivo della ricontrattazione dei trattati europei, proponendo tout court la fuoriuscita dall’euro e la rottura della Ue. Questo esito potrebbe determinarsi però anche indipendentemente dall’azione delle forze antiliberiste, come implosione della Ue e dell’euro (prevista da molti economisti, cfr. anche Samir Amin in MarxVentuno2013/1), oppure su pressione delle frazioni più oltranziste del grande capitale tedesco. Ma porre oggi immediatamente l’obiettivo della fuoriuscita dall’euro, con gli attuali rapporti di forza interni e internazionali, non incontrerebbe il consenso adeguato per la costruzione di un ampio fronte antiliberista, mentrel’obiettivo intermedio della ricontrattazione dei trattati europei può essere unificante.

4.3. Difesa e rilancio della Costituzione

La lotta per una politica di nazionalizzazione e programmazione democratica non può essere disgiunta da quella per la difesa e il rilancio della Costituzione, per l’applicazione degli artt. 41 e 43 che intervengono a limitare la proprietà privata, e contro il presidenzialismo e il bipolarismo maggioritario, per il recupero delproporzionale puro. Il valore e l’importanza di questa lotta purtroppo non sono stati colti in pieno né dai partiti comunisti sorti dopo la dissoluzione del Pci (con alcune pesanti cadute nell’accettazione della modifica del titolo V della Costituzione nel 2001), né dai movimenti liberisti e altermondialisti, che li hanno ignorati. Eppure, la questione della Costituzione è essenziale se si vuole rilanciare la lotta per la nazionalizzazione e pubblicizzazione delle imprese strategiche sotto controllo popolare. Essa non è un in più, qualcosa che è a lato, esterna alla lotta per la nazionalizzazione e la partecipazione democratica. Ne è invece la cornice istituzionale indispensabile.

La difesa e il rilancio della Costituzione del 1948 deve essere oggi uno degli obiettivi principali del programma di transizione. La seconda elezione di Napolitano spiana, infatti, nel metodo e nel merito, la strada a riforme costituzionali verso il presidenzialismo e un sistema maggioritario compiuto, alla realizzazione piena del programma piduista rimasto a metà del guado. Quanto è avvenuto con le elezioni presidenziali ha mostrato da un lato l’inettitudine dei grandi elettori a scegliere il presidente, rivolgendosi disperati e supplici al padre nobile, al tutore esterno; dall’altro, che il “popolo” animato dai grillini “vota” sul web o in piazza il “suo” presidente, contrapponendo il “popolo” alla decrepita e inetta “casta” parlamentare:ergo, è meglio il presidente scelto dal popolo, come d’altra parte reclama da anni a gran voce Berlusconi…

4.4. Contro il militarismo e la guerra

Nel corso della storia, le crisi capitalistiche hanno accresciuto le spese militari e hanno spesso trovato sbocco nella guerra. Così è stato per le due guerre mondiali della prima metà del ‘900. L’opzione guerra è presente nei gruppi dirigenti dei paesi imperialisti. Occorre pertanto tenere ben desta l’attenzione a livello di massa sui pericoli di guerra, che l’acuirsi della crisi accresce. Per questo, come non va separata la lotta per le nazionalizzazioni e la programmazione democratica da quella per la difesa e il rilancio della Costituzione, così non va separata la lotta sul terreno economico da quella contro la guerra e gli interventi imperialistici, le missioni in Afghanistan e negli altri numerosi paesi in cui sono presenti militari italiani, contro l’acquisto degli F35. L’inventario e il controllo delle spese militari può essere uno strumento importante per la denuncia di massa della militarizzazione, per la costruzione di un movimento permanente contro la guerra.

4.5. Un fronte che operi quotidianamente nella società, prima che una coalizione elettorale

Quali possono essere le forze parte di questo fronte? Il fronte va prima di tutto costruito a livello sociale, deve unire sul grande e non più eludibile obiettivo di fuoriuscita progressiva dalla crisi le esperienze di lotta, le forze sindacali e sociali, le forze politiche, riconosciute nella loro identità e diversità (i comunisti non devono nascondersi o annullarsi). All’interno di questo quadro il fronte deve poter operare quotidianamente nei diversi territori, nelle lotte locali, con azioni di denuncia, simboliche, con manifestazioni. Occorre saper condurre ad unità le singole lotte, occorre che ogni singola lotta o resistenza locale acquisti il senso di una lotta per l’obiettivo generale del programma di transizione. Bisogna imparare la grande lezione della nostra storia. Ciò che dette forza al movimento partigiano nel 1943-45, ciò che fece sì che ogni singolo partigiano sentisse di poter affrontare i più alti sacrifici e i rischi che correva e le privazioni e il pericolo di morte, era la consapevolezza che la sua azione, anche minuta o di routine, era parte di una più grande azione coordinata volta a liberare il paese dai nazifascisti.

I comunisti, ridotti al silenzio o in riserve indiane, o partecipi subalterni al movimento di Grillo, devono riconquistare autonomia politica e radicamento sociale. Essi, se non gettano alle ortiche gli strumenti di analisi marxista della loro migliore tradizione – quella che portò alle vittorie dell’Ottobre 1917 (Russia) e 1949 (Cina), quella che consentì di costruire i fronti popolari, l’unità nella lotta antifascista, quella che portò alle vittorie di Cuba e dei vietcong, alle indipendenze di tanti paesi del “terzo mondo” – hanno tutto ciò che occorre per elaborare un programma di transizione e contribuire alla costruzione di un fronte unito per la sua realizzazione.

Occorre rilanciare l’internazionalismo comunista, soprattutto in Europa, perché la lotta sul terreno europeo è fondamentale.

Il M5S può essere un interlocutore in questo fronte? I comunisti non possono stare alla coda del M5S. Esso non va demonizzato, né osannato, ma colto nei suoi tratti specifici. Rispetto ad esso, alle forze sociali e alla domanda politica che in esso si è espressa, i comunisti devono saper operare. Ma ciò è possibile solo se i comunisti sapranno prendere l’iniziativa politica. Il collante ideologico del M5S – distruggere l’attuale sistema dei partiti visti come casta separata dal paese, parassitaria e corrotta – va aggredito nella sua essenza, rilanciando la questione della Costituzione e della partecipazione democratica, delle forme democratiche di partecipazione, e quelle che sono questioni singole, pur se di amplissima rilevanza, vanno ricondotte all’interno di un disegno unitario che ponga il programma di transizione come centrale. È sulla forza e chiarezza del programma, sulle modalità di costruzione della partecipazione democratica, che i comunisti potranno confrontarsi col M5S e sfidarlo sul suo terreno. Ad esempio: sulla legge elettorale il M5S non trova di meglio che proporre in antitesi al “porcellum”, il ritorno al “mattarellum”, un altro maggioritario, quando la democrazia partecipata richiede per sua natura il proporzionale puro.
Occorre prendere atto di un profondo mutamento di fase.

È questa una fase di crisi profonda e di grandi sconvolgimenti, che attraversano i blocchi sociali e i blocchi politici, i partiti: si veda quanto sta accadendo oggi nel Pd, che sembrava godere pochi mesi fa di ottima salute…. Ed è naturale che sia così. La crisi non lascia indifferenti, produce profondi cambiamenti nel tessuto sociale ed economico e nella mentalità, nella testa delle persone e tali mutamenti possono essere anche estremamente rapidi, dato il carattere della crisi. Come lo scoppio della guerra fa maturare, in un senso o nell’altro, un’intera generazione – esemplare in proposito la lettera di Giaime Pintor del 1943 – così la crisi porta a rapida maturazione, in un senso o nell’altro, e attrae alla politica masse che fino a poco prima le erano sostanzialmente estranee o indifferenti.

Il partito comunista si può ricostruire nel fuoco della lotta. Esso deve assumere un ruolo pubblico, avanzare proposte, essere presente quotidianamente nelle lotte locali, sapendo sfruttare al massimo la capacità comunista di ricondurre ogni lotta parziale in un disegno organico di trasformazione generale.

Lungi dalla chiusura identitaria, il partito comunista deve lavorare politicamente. Lungi dallo sciogliersi – a destra o a sinistra – in una formazione socialdemocratica o nei movimenti antiliberisti, il partito comunista afferma e conferma nella pratica quotidiana il suo ruolo comunista.

(da Associazione politico culturale Marx XXI)

Bari, 22 aprile 2013

 

 

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