Intervista ad Antonio Pizzinato (Presidente ANPI della Lombardia)
di Erica Ardenti*
“C’è l’esigenza di una nuova stagione di battaglie per i diritti. Sono vent’anni che si tenta di annullare le conquiste che i lavoratori hanno fatto a partire dalla guerra di Liberazione. Un esempio per tutti sono le decisioni di Marchionne, anche in termini di organizzazione del lavoro, che riportano i lavoratori della Fiat indietro di decenni”.
E’ in questo che sta, per Antonio Pizzinato, figura storica del sindacalismo italiano (già Segretario generale della CGIL), il senso del perché ricordare gli scioperi del ’44, di cui ricorrono i settant’anni. Scioperi che ebbero una forte eco a livello mondiale, tanto che il New York Times, il 9 marzo 1944, scriveva: “ Non è mai avvenuto nulla di simile nell’Europa occupata che possa somigliare alla rivolta degli operai italiani. E’ la prova impressionante che gli italiani, disarmati come sono, sanno combattere con coraggio ed audacia, quando hanno una causa per cui combattere”.
“Quegli scioperi si differenziarono da quelli del ’43 – continua Pizzinato – perché, per la prima volta, a rivendicazioni che riguardavano la fine della guerra, la pace, la fine delle razioni alimentari, se ne saldarono altre relative ai diritti dei lavoratori: dall’aumento delle paghe da proporzionare all’aumento del costo della vita, alla parità salariale tra uomo e donna chiesta dalle operaie della Breda. Inoltre gli scioperi del ’44 si estesero per la prima volta dalle fabbriche ad altri settori: partono sia a Milano che a Torino col blocco del traffico imposto dai tramvieri per arrivare allo sciopero dei giornalisti e dei tipografi del “Corriere della sera” –sciopero durato ben 5 giorni - e dei bancari. Per quasi un intero mese, l’Italia del nord si mobilita. E le richieste avanzate durante questi scioperi saranno, poi, la base di alcuni degli articoli più importanti del dettato costituzionale. E’ in quei giorni che vengono definiti i valori fondamentali sanciti dalla Costituzione. Il Decreto legge luogotenenziale 151 del ’44, infatti, sanciva un accordo tra Corona e CLN in cui si stabiliva che sarebbe stato il popolo, alla fine della guerra, a decidere che tipo di stato avrebbe voluto con voto segreto e universale”.
Allo sciopero generale del Nord Italia aderirono oltre 350.000 lavoratori.
“La repressione nazi-fascista nei confronti degli scioperanti – conclude Pizzinato – nella sola Provincia di Milano colpì migliaia di lavoratori. Di essi 800 furono deportati e partirono dal famoso binario 21 della Stazione centrale alla volta dei campi di concentramento. Dalle sole fabbriche di Milano nord (Pirelli, Magneti Marelli, Breda, Falk, Stazione locomotive di Greco, Ercole Marelli, per fare i nomi più famosi) ne partirono 635 e oltre 200 non fecero più ritorno. I loro nomi sono ricordati sul Monumento al deportato che c’è al Parco Nord”.
(* dalla rivista del Sindacato Italiano Pensionati della CGIL)