50 ANNI FA SI SCIOGLIEVA IL PSIUP
LA BREVE VITA DI UN BEL PARTITO
di Bruno Casati
Questi sono tempi di ricorrenze, forse non ci resta altro.
L’anno scorso ad esempio si è ricordato, poco e male in verità, che cento anni prima era nato a Livorno il Partito Comunista Italiano, ma si è accuratamente evitato di affrontare le ragioni per cui questo partito, dopo settant’anni di vita onorata, è stato sciolto. In questo 2022 potrebbe essere ricordata un’altra uscita di scena, ovviamente molto meno fragorosa: quella del PSIUP, avvenuta esattamente cinquant’anni fa. Probabilmente non lo si farà per un paio di semplici motivi: il primo è che pochissimi ormai sanno che è esistito questo partito, o lo confondono con un altro che aveva utilizzato lo stesso nome nei primi anni Quaranta del secolo scorso; la seconda è che questo partito è stata una meteora politica, in quanto è rimasto in campo per soli otto anni.
Forse vale la pena invece ritornarci perché il PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria ) rappresentò allora la novità di una vivace formazione politica che si era schierata alla sinistra del PCI ma non contro il PCI, come invece sarebbe avvenuto pochi anni dopo con le formazioni politiche zampillate a seguito delle lotte operaie e studentesche del biennio ’68-69. Inoltre, azzardo, il PSIUP pur nella sua breve esistenza, ha anticipato alcuni tratti che, anni dopo, Rifondazione non ha saputo, o voluto, sviluppare alla sinistra del PDS, che in verità era altra cosa rispetto al PCI di Togliatti e poi di Longo, e non ha saputo (Rifondazione) o voluto sviluppare anche per le provenienze politico-culturali che non si sono mai amalgamate in Rifondazione che, oltretutto, con qualche eccezione, non disponeva di un gruppo dirigente che, sul piano della qualità, potesse reggere il confronto con quello di alto profilo che si era raccolto nel secondo PSIUP.
Un chiarimento preliminare si impone a questo punto. Si chiamò per la prima volta PSIUP il partito nato nel 1943 dalla fusione del PSI di Pietro Nenni con il MUP (Movimento di Unità Proletaria) di Lelio Basso. In quel primo PSIUP c’era una corrente, le correnti sono una costante nei partiti della sinistra (e non solo), di opposizione di sinistra, “Iniziativa Socialista“, ne facevano parte Vassalli e Libertini. Quel nome PSIUP fu abbandonato nel primissimo dopoguerra quando Giuseppe Saragat ruppe con Nenni e fondò, dopo un passaggio come PSLI, il PSDI, il Partito Socialdemocratico Italiano. E si ruppe anche il primo PSIUP. Su Saragat esercitarono una pressione congiunta sia la DC di Alcide De Gasperi che, e soprattutto gli USA, che legavano gli aiuti del piano ERP destinati all’Italia, paese sconfitto, all’allontanamento dei Socialcomunisti dal Governo. E così avvenne. Fu allora, si era nel 1947, che Nenni riprese lo storico nome del PSI apprestandosi, l’anno dopo, a costituire per le elezioni politiche il Fronte Popolare (Stella e Garibaldi) con il PCI, che sarà però sconfitto nel fatidico 18 aprile 1948 dalla DC. Per non farci mancare niente, in quei mesi prende avvio, dopo l’attentato a Togliatti, anche il processo di rottura dell’Unità Sindacale: si rompe la CGIL e, in tempi successivi, nascono CISL (i “liberi”) e UIL. Sono queste le pagine dolorose della storia della sinistra italiana. Che continua. Il nome PSIUP viene recuperato nel 1964 quando un gruppo di quadri del PSI dissente dal processo avviato da Nenni teso a rompere l’alleanza con il PCI (che in CGIL viene invece mantenuta) per convergere con la DC, ritornando a unirsi con Saragat e, in seguito, dar vita a un Governo di Centro-Sinistra con la DC. Per usare un linguaggio del tempo, Nenni si proponeva di far uscire il PSI dal frigorifero ove era costretto dal permanere della sudditanza del PCI a Mosca, per farlo entrare nella famosa stanza dei bottoni. Una parte del partito, come detto, dissente, non lo segue e dà vita al PSIUP, al secondo PSIUP quindi. Per la prima volta nella sua storia il PCI si trova così una forza organizzata alla sua sinistra. È vero, c’erano stati nel passato in quella direzione tentativi falliti, come quello di “Azione Comunista” di Forti Chiari , Seniga e Raimondi, ma il PSIUP è ben altra cosa perché recupera il pensiero di Rodolfo Morandi che Nenni ha abbandonato.
Domandiamoci: è stato un partito speciale che valga la pena ricordare questo PSIUP? Si, lo è stato per due ragioni: la prima, perché speciale fu il periodo in cui questo partito ha brevemente vissuto, uscendo di scena quando il periodo è finito; la seconda, perché più che speciale fu straordinario il larghissimo gruppo dirigente di cui poteva disporre. Speciali furono infatti gli anni Sessanta del risveglio delle lotte operaie che si inaugurarono con quella degli elettromeccanici milanesi di Sacchi e Carniti con cui si avviò la ricomposizione dell’Unità Sindacale (“uniti si vince”).
Furono ancora gli anni in cui un milione di giovani operai, avanguardia del possente fenomeno di immigrazione interna, entrò nella grande fabbrica industriale del Settentrione d’Italia. E milioni di giovani studenti scesero in piazza per cambiare la scuola italiana. Furono infine gli anni della crisi dei missili a Cuba e della ribellione mondiale contro la guerra americana nel Vietnam.
Speciale fu poi il gruppo dirigente che si ritrovò nel PSIUP, in cui eccellevano tre brillanti intelligenze: quella di Vittorio Foa, il vero “spirito guida” di tutta la sinistra sindacale italiana; quella vivacissima di Lelio Basso, il più critico nei confronti del sistema comunista che, con approccio luxemburghiano, lavorava alla sua rivista “Problemi del Socialismo”, già allora meditando di dedicarsi totalmente ai temi del Tribunale Russel; quella infine di Lucio Libertini, intellettuale vivacissimo e, insieme, lavoratore formidabile, una vera e propria macchina da combattimento. Al tempo veniva fatta circolare la leggenda che lui scrivesse da solo, dalla prima all’ultima pagina, il giornale “Mondo Nuovo” già organo della sinistra del PSI e poi del PSIUP. Antonio Costa mi confessò che non si trattava solo di leggenda. Il PSIUP raccolse, come detto, l’eredità del pensiero di Rodolfo Morandi ma anche e soprattutto di Raniero Panzieri, due dirigenti socialisti che, per ragioni diverse, non sarebbero passati al nuovo partito. Rodolfo Morandi, già Ministro dell’Industria del primo Governo De Gasperi, ricordato come l’estensore del Disegno di Legge sui Consigli di Gestione, fu il dirigente che studiò in modo approfondito l’evoluzione dei processi produttivi, lasciando una fondamentale “Storia dell’Industria Italiana”. Il punto fermo della visione politica di Morandi fu rappresentato dalla formula della conquista democratica del potere, da perseguire con il mantenimento dell’unità d’azione con il PCI. Ma Morandi muore nel 1955 e solo l’anno dopo la sua formula viene messa in discussione da due grandi eventi: l’intervento sovietico a Budapest e il 20° Congresso del PCUS con la denuncia dei crimini di Stalin. Sono eventi che scuotono le sinistre di tutto il mondo e, ad esempio, avviano i socialdemocratici tedeschi sotto la leadership di Villy Brandt ad abbandonare tre anni dopo il Marxismo nel Congresso di Bad Godesberg. Viene scosso anche il PSI, anche se alcuni suoi dirigenti come Vecchietti, Valori, Lizzadri e Gatto, minimizzano l’intervento dell’Armata Rossa in Ungheria.
Raniero Panzieri, la seconda grande figura di riferimento del PSIUP è, come Morandi, affascinato dai processi che si sviluppano nel mondo industriale di quel dopoguerra italiano in cui l’industria si appresta a sopravanzare l’agricoltura. Lui, che potrebbe essere considerato come un filosofo Marxista, è un dirigente politico dall’enorme fascino, conosciuto dai compagni anche attraverso gli scritti fatti apparire sulla rivista teorica del Partito “Mondo Operaio” che Panzieri aveva condiretto con Francesco De Martino. È nel 1958 che escono le sue “Tesi sul controllo Operaio” scritte in collaborazione con Lucio Libertini, diventate punto di riferimento, come lo saranno nel 1961 i “Quaderni Rossi”, per le giovani generazioni che allora si affacciavano alla politica. Panzieri è indubbiamente un Morandiano, ma apre una polemica frontale con i Morandiani più rigidi Tullio Vecchietti e Dario Valori che, anche dopo il ’56, intendono mantenere stretto il vincolo con il PCI. Anche Panzieri lo sostiene, ma aggiunge che il PSI deve avere una propria linea autonoma non assumendola né dal PCI (messaggio ai Morandiani) né dalla DC (messaggio a Nenni e ai riformisti). Non viene ascoltato nè dalla sinistra nè dalla destra e così lui, estenuato dal permanere dei conflitti interni nel partito, abbandona il PSI nel 1961 e passa, a Torino, a lavorare con Einaudi. Panzieri morirà nel 1964, nell’anno stesso in cui nasce il PSIUP che eredita, o almeno ci prova, la centralità del suo pensiero: quello della costruzione di un autonomo “punto di vista operaio” ricercato attraverso la conoscenza e l’autonomia appunto della ricerca culturale. È per questa ragione che lo sforzo di Panzieri fu guardato con freddezza dal PCI (ma non da Togliatti), che riteneva fosse sottostimato, è Spriano che lo dichiara, il ruolo centrale del Partito Comunista nella fabbrica. Ma è per la stessa ragione, opposta, che i quadri, più sindacali che politici, che hanno avuto una permanenza nel PSIUP, breve per forza di cose ma in cui hanno conosciuto il pensiero di Panzieri, ne hanno poi derivata, non tutti in verità, un’impronta originale rimasta riconoscibile anche nella militanza in futuri partiti. Le radici profonde del secondo PSIUP vengono gettate nel 22° Congresso di Venezia del PSI nel 1957, quando Nenni, che si era già incontrato con Saragat a Pralognan avviando il percorso dell’unificazione socialista, rompe con il pensiero di Morandi, morto da poco, e considera improponibile continuare il rapporto con un PCI bloccato dalla dipendenza da Mosca. È in questo stesso Congresso che, per la prima volta, prende forma organizzata l’opposizione a Nenni e nasce la “Sinistra Socialista”, il terreno politico sul quale in seguito nascerà il PSIUP. Nel settembre di due anni dopo la sinistra si doterà di un suo giornale , il “Mondo Nuovo” , che nel PSI aggiungerà la sua voce a quella del quotidiano “L’Avanti” e della rivista teorica ”Mondo Operaio”. Però in quel Congresso di Venezia Nenni è messo in minoranza raccogliendo solo il 33% dei consensi. Il Congresso lo vince Vecchietti con il 49%, mentre Basso raccoglie il 17%. Nenni è eletto Segretario ma in posizione di minoranza. Ma lui non demorde. Pietro Nenni è un uomo del popolo, nel partito diventerà un mito, “il tribuno con il basco”, sanguigno e determinato, in qualche misura simile al primo Mussolini socialista del quale fu amico e come lui, in gioventù, interventista e volontario. Non si dimentichi nemmeno che nel 1919, attratto dal programma sociale dei Fasci di combattimento di Piazza S. Sepolcro, Nenni parteciperà alla Fondazione del Fascio di Bologna ma, subito dopo, la sua strada diventerà un’altra: di netta, intransigente, opposizione al fascismo. Nel PSI del dopoguerra Nenni è impegnato nella difficile operazione di far convivere le diverse correnti in perenne polemica tra loro: dai riformisti come Romita, ai movimentisti come Basso, dai socialisti rivoluzionari come Vassalli, ai carristi come Malagugini (e Pertini), dagli azionisti come Lombardi ai Morandiani di Vecchietti, Valori e Lussu. La corrente Morandiana è la più organizzata e numerosa, ha vinto il Congresso di Venezia ma non ha fatto i conti con la determinazione di Nenni che, in soli due anni, riconquista il Partito al 23° Congresso di Napoli dove gli autonomisti balzano al 58% schiacciando i Morandiani al 32%. Liberatosi dai Morandiani e dai Bassiani Nenni riesce a recuperare anche l’importante dissenso di Lombardi: da allora la strada verso un futuro Governo con la DC di Moro e Fanfani è spianata. È a questo punto che decollano anche le dinamiche della scissione e, dopo alterne vicende (sospensioni e altro come la prima giunta di centro sinistra del 1961 a Milano) nasce, è il gennaio 1964, il PSIUP o, meglio, “rinasce il PSIUP” come titolerà il numero speciale del “Mondo Nuovo”. È il 20% dei dirigenti socialisti che passa al nuovo partito, con un numero assai consistente di sindacalisti della CGIL sui quali esercita una forte influenza la figura carismatica di Vittorio Foa. Quella dei sindacalisti è l’area del partito più vivace intellettualmente, e lascerà il proprio segno in quegli anni del risveglio operaio. Sul tema dell’organizzazione del lavoro nella nuova fabbrica industriale, il partito raccoglie così le intuizioni di Panzieri e si configura come fucina di analisi, importante ma non l’unica, perché in quegli anni Sessanta interessanti riflessioni vengono sviluppate nella CGIL, particolarmente da Bruno Trentin e Sergio Garavini, dalla Camera del Lavoro di Torino con Pino Ferraris, dall’ufficio studi della FIOM di Milano che capitalizza i contenuti della lotta degli elettromeccanici, ma anche dalla CISL milanese di Sandro Antoniazzi e Bruno Manghi. Sono poi le idee che, in quegli anni, si andranno a depositare nelle carte rivendicative delle vertenze aziendali, dalla Pirelli a Porto Marghera, che porteranno alla ricomposizione delle mansioni che il Taylorismo parcellizzava e ai Consigli dei Delegati che si apprestano a sostituire le gloriose Commissioni Interne, mentre in Parlamento si è avviata la discussione che porterà, anni dopo, allo Statuto dei Diritti dei Lavoratori.
Formidabili quegli anni, dirà poi qualcuno e il PSIUP, di quegli anni, fu protagonista non secondario.
Al Congresso della CGIL del 1964si costituisce, ed è una novità, la corrente dei socialproletari a fianco delle correnti storiche dei comunisti e dei socialisti. Intervenendo il quel Congresso per presentarla, Vittorio Foa, definirà i socialproletari “il sale della terra” ben cosciente però della relativa forza elettorale del Nuovo Partito. Infatti, presentandosi nel 1968 al voto politico nazionale, il partito raccolse il 4,5% quando però votava il 92,8% degli aventi diritto. Il confronto con il presente è ovviamente improponibile ma i votanti di cinquant’anni fa del PSIUP supererebbero quelli che oggi raccoglie Forza Italia , per non parlare i Italia Viva, Azione, Cambiamo, Leu e Sinistra Italiana. Più interessante è guardare al gruppo dirigente del partito dove troviamo, oltre ovviamente a Foa, Basso e Libertini: Gianni Alasia, Silvano Andriani, Alberto Asor Rosa, Giuseppe Avolio, Pino Ferraris, Vincenzo Gatto, Elio Giovannini, Gino Guerra, Vincenzo Indovina, Antonio Lettieri, Lucio Luzzatto, Antonio Mari, Giacinto Militello, Silvano Miniati e i milanesi Gastone Sclavi, Andrea Margheri e Antonio Costa. Non nel gruppo dirigente ma c’è anche Fausto Bertinotti, che allora dirigeva a Novara il sindacato dei tessili della CGIL, la Filtea. Bertinotti nel PSI si dichiarava Lombardiano per poi passare alla corrente dei socialisti autonomi e infine aderire al PSIUP, ma nel 1966, due anni dopo la sua nascita. Curioso parallelismo, anche in Rifondazione Bertinotti approderà due anni dopo: lui arriva a partiti consolidati. La sinistra sindacale del PSIUP si cala subito dentro il clima delle lotte operaie che allora si stavano diffondendo sostenendo le esperienze innovative che alcune Camere del Lavoro come a Torino e Brescia. La corrente è attiva anche a Milano, pur frenata dal riformismo di una Federazione Comunista che anni prima aveva preso le distanze dalla lotta degli elettromeccanici (per poi saltare sul carro dei vincitori) e anni dopo bollerà di spontaneismo le lotte studentesche. A Milano il PSIUP mette in campo quadri sindacali di buon livello tra cui spiccano le eccellenze di Gastone Sclavi, nella segreteria dei meccanici e poi dei chimici, e Antonio Costa, già nella segreteria della FIOM e poi Segretario Generale degli alimentaristi. Antonio Costa che diventa il segretario della federazione milanese del PSIUP, darà vita con Luciano della Mea, responsabile della redazione milanese del “Mondo Nuovo” a una serie di inchieste condotte tra gli operai delle fabbriche. Sono inoltre da ricordare: Valter Alini della segreteria camerale e poi Segretario Generale Aggiunto della FIOM, Alini nella Resistenza aveva operato con Lelio Basso; Renato Luceti, della segreteria prima della FIOM poi dei Tessili; Bruno Pinato dell’apparato prima della FIOM, poi degli Edili, infine degli Elettrici; Pietro Ichino, il coordinatore dei servizi legali della Camera del Lavoro; Elvio Chinaglia segretario dei Gasisti; Ido Cavazzan della segreteria camerale e un discreto numero di compagni della CGIL Scuola. La buona presenza dei sindacalisti del PSIUP in CGIL non è però accompagnata dalla ricerca dell’unità tra le varie anime politiche del partito che appare bloccato da un continuismo presidiato da Vecchietti e Valori che non consente si sviluppi la necessità di connettersi con le nuove generazioni in movimento nelle scuole e nelle fabbriche. Le idee ci sono, gli spazi che il PCI sta lasciando alla sua sinistra anche, ma un grande potenziale viene sprecato isolando quelle realtà, come Torino, in cui lo slancio impresso da Ferraris e Giovannini non sarà raccolto dal PSIUP ma assorbito da Lotta Continua di Guido Viale. Sarà così anche altrove, quando il pensiero di Raniero Panzieri non viene assunto dal PSIUP ma dal Potere Operaio pisano di Gianmario Cazzaniga e Adriano Sofri. Il PSIUP poteva essere ma non è stato, questa è la sintesi, e così si avvia a chiudere la sua storia. La sentenza senza appello sarà alle elezioni politiche del 1972 quando il partito viene escluso dal Parlamento. Decolla allora la triste diaspora con la maggioranza del gruppo dirigente che passa al PCI, come i milanesi Andrea Costa e Andrea Margheri, parte minore ritorna al PSI, un piccolo gruppo sarà la base del futuro PdUP.
Il PCI appare quasi sollevato perché si libera di un alleato alla sua sinistra. Del resto già la scissione socialista del 1964 aveva visto un dirigente autorevole come Amendola attaccare pesantemente, com’era suo costume, Lucio Libertini (e Libertini non fu difeso da Vecchietti e Valori). Amendola interpretava il pensiero di Togliatti? Sicuramente Togliatti, tempo prima, considerava un intralcio la nascita annunciata di un partito alla sinistra del PCI che avrebbe potuto condizionare gli spazi di manovra che Togliatti voleva garantirsi. Sbagliò allora il PSIUP che non fu capace di coprire lo spazio che gli si offriva e non seppe farsi interprete, se non per episodi, della grande spinta dal basso che, in quegli anni, stava esplodendo. Sbagliò il PCI, che liberatosi di un partito interessante ma piccolo alla sua sinistra, si trovò, in pochissimo tempo, disarmato dinnanzi al moltiplicarsi sullo stesso fianco delle cento sigle della sinistra extraparlamentare prima e dell’autonomia poi che lo considerava un nemico. Cominciavano i terribili anni Settanta. Abbiamo ricordato il PSIUP ma, alla luce degli avvenimenti raccontati, ci si può domandare oggi: è servito a qualcosa?