La partigiana Elena Rasera, nome di battaglia “Olga” ha compiuto l’1 gennaio di quest’anno, cento anni. Elena, di famiglia antifascista, entra alla Olap nel 1935, all’età 21 anni, dopo essersi trasferita a Milano dal suo paese di Santa Giustina Bellunese.
Durante la Seconda Guerra Mondiale la Olap che contava ben 3000 operai di cui 1700 donne, costituiva un complesso tra i più importanti, per il particolare tipo di produzione legata alla guerra: strumentazioni di altissima precisione per radiofonia e telefonia. Nel corso dell’inverno del 1943 Elena si occupa dell’organizzazione dei Gruppi di Difesa della Donna. Nella sua autobiografia, così ricorda: “ Il compito di organizzare i Gruppi di Difesa della Donna nella fabbrica non era facile. Bisognava agire con oculatezza e molta prudenza. I gruppetti erano costituiti da due o tre operaie che a loro volta si collegavano con altri gruppetti. Si formava così una sorta di catena di Sant’Antonio. Intanto la stampa circolava”.
Fu Elena a organizzare lo sciopero del marzo 1944 alla Olap al quale aderirono circa 500 donne. Nel corso dello sciopero, dopo aver tolto la corrente, furono prima le donne a uscire proteggendo gli uomini che erano più esposti agli arresti ed alle rappresaglie.
Verso la metà dell’ottobre 1944, a seguito del ritrovamento di armi alla Olap da parte dei fascisti, vi furono sette morti ed una ventina di arresti. Elena non può più rientrare in fabbrica e si dà alla macchia dopo aver ricevuto l’incarico di Capo servizio di collegamento e di diffusione della stampa clandestina. Elena diventa responsabile della zona che comprendeva il tratto da Porta Venezia a Rogoredo, facendo capo alla Olap, alla Saffa, alla Bianchi, alla Innocenti, alla Readelli.
Tra gli episodi che l’hanno più profondamente toccata, Elena ricorda l’incontro con Gina Galeotti Bianchi, la prima caduta partigiana nei giorni dell’insurrezione di Milano. “Incontrai questa partigiana – racconta Elena – all’appuntamento in via Carlo Farini. Appena ci siamo riconosciute, lei si è sentita male ed era molto preoccupata per il buon esito della missione che le avevo dato da compiere. La condussi allora in un caffè e chiesi al gestore un bicchiere d’acqua. Invece lui, vedendo che stava male, le diede del surrogato di caffè. Dopo un po’ Gina, la “Lia” si riprese e mi confessò: “Sai sono in stato interessante. Mi chiamo Gina Galeotti e sono sposata Bianchi, ma mio marito si trova in carcere”. Ci lasciammo; dopo alcuni giorni scoppiò l’insurrezione e in quella occasione incontrai una partigiana, quella che aveva avuto i collegamenti con la Lia. Fu lei che mi comunicò la morte di quella giovane, coraggiosa staffetta, colpita da una raffica di mitra dai tedeschi nelle ore più calde della Liberazione. Quando il marito uscì da San Vittore lei e il bambino che portava in grembo se ne erano andati per sempre”.
Milano 14Gennaio 2014
Roberto Cenati Presidente ANPI provinciale di Milano