di Alfredo Novarini
Lunedì 17 novembre è apparso un interessante articolo di fondo di Federico Fubini, commentatore economico de “La Repubblica”, sull’inserto ”Affari e finanza”.
Ne riporto qualche stralcio (in corsivo) con alcune annotazioni.
Dice Fubini: “ In Italia… la recessione è rimasta tale, ma si fatica a crederlo quando si guarda ai dati delle ultime trimestrali. La maggioranza delle imprese ha aumentato l’utile netto o almeno il margine lordo… Lo hanno fatto in tutti i settori e con tutte le vocazioni, sia all’export che al debolissimo mercato nazionale, sia con azionisti privati che pubblici. Le imprese del made in Italy sono riuscite a guadagnare qualcosa di più nelle costruzioni, nei servizi urbani in rete, nella moda e nel lusso, nella meccanica, nell’auto, nell’elettronica”.
Questi elementi, in verità, non sono del tutto nuovi. Dati forniti dalla Banca d’Italia un paio di anni fa ci dicevano che le duemila aziende più grandi del nostro Paese hanno, negli ultimi vent’anni, incrementato i loro profitti del 40%, con una riduzione della manodopera di circa il 20%. Ciò significa che i capitalisti hanno intascato un sacco di soldi, aumentando lo sfruttamento pro-capite della manodopera.
Aggiuge Fubini: “ Il made in Italy di Piazza Affari,come quello che non osa affrontare i listini, sembra sempre più allergico agli investimenti”. In verità nel 2014 in Italia gli investimenti sono calati del 25%! I nostri “capitani d’industria” non hanno investito in nuove tecnologie, non hanno rinnovato gli impianti, non hanno fatto ricerca tecnologica e scientifica. Soprattutto hanno ridotto il costo del lavoro, utilizzando il lavoro precario a piene mani, hanno avuto in regalo molta cassa integrazione e hanno molto licenziato. Il potere di salari e stipendi degli italiani è, così, fermo da vent’anni e molti contratti non sono stati rinnovati. Ma allora dov’è andata a finire quell’enorme montagna di miliardi guadagnati dagli azionisti ? Secondo i dati dell’Istat e di numerosi Istituti di ricerca nazionali ed internazionali sono finiti all’estero, in beni di consumi di lusso, in speculazione finanziaria e in beni immobili in grandi città straniere. Alcune riviste specializzate ci fanno sapere, per esempio, che solo a Londra i super-milionari italiani che hanno acquistato immobili di gran pregio, con prezzi che vanno da 25.000 a 37.600 eu/ mq., sono più di tremila.
D’altra parte è dell’altro giorno la notizia diffusa dall’Agenzia delle Entrate che la media dell’evasione fiscale degli ultimi anni in Italia è stata di circa 95 miliardi di euro all’anno. In 10 anni 950 mld.!
Ecco perché Warren Buffett, il quarto miliardario più ricco del mondo con 58,2 mld. di dollari di patrimonio (secondo la rivista specializzata Forbes), in una intervista rilasciata sempre a “La Repubblica” l’anno scorso, afferma che la lotta di classe nel mondo l’hanno vinta loro (cioè lui e gli altri cento miliardari – tra cui una decina di italiani – che controllano l’economia mondiale). Quella che il Prof. Luciano Gallino definisce la “ borghesia monopolistica globalizzata”.
Tornando, per concludere, alla premessa di queste brevi considerazioni, il nostro buon Federico Fubini così chiude il suo articolo sulla situazione italiana: “ Le tasse, la burocrazia, la giustizia lenta saranno sì degli ostacoli. Ma nessuno è più urgente da superare come quello di un certo capitalismo senza un’idea in testa, se non quella di acciuffare in qualche modo il prossimo dividendo”.
L’unico appunto che posso fare a queste conclusioni di Fubini si riferisce a quando egli scrive che questa tendenza a preoccuparsi unicamente del profitto è solo di un certo capitalismo.
E no, caro Fubini: questo è…. il capitalismo!